Durante il Medioevo, insieme alle pietre degli antichi edifici adibiti agli spettacoli, sembra essere crollata l’idea stessa di teatro. La memoria dei generi drammatici e delle rappresentazioni viene tuttavia tramandata dalla tarda antichità al Medioevo mediante i glossari e i commenti degli scrittori cristiani, che menzionano il teatro soprattutto per condannarlo. Confusa e frammentaria, l’immagine del teatro antico ricorre nella fantasia degli eruditi, assumendo anche contorni iconografici: raffigurazioni di teatri possibili o sogni di un lontano passato, in cui i ludi scenici romani sono rievocati come una declamazione mimata, una danza o uno spettacolo agonistico. D’altra parte, i secoli in cui il teatro non esiste più come istituzione presentano un’estrema varietà di forme spettacolari, dalle performance dei giullari ai misteri religiosi. Suggestioni tratte dalla realtà contemporanea si insinuano nelle ricostruzioni del teatro antico, creando un immaginario polimorfo e pervasivo che evoca il peccato, la lussuria e l’idolatria. Continua
Il linguaggio delle passioni: attori e teorici della mimica nell’Ottocento
Pubblicato in “Annali del Dipartimento di Storia delle Arti e dello Spettacolo”, II, 2001, pp. 101-120. Edizioni Cadmo
Spesso definito l’epoca del grande attore, l’Ottocento è anche il secolo di massima fioritura dei trattati di teoria della mimica e dei manuali sull’arte di recitare. Influenzati dalla traduzione italiana del trattato di J.J. Engel sull’espressività (Ideen zu einer Mimik, 1785-86), attori e teorici elaborano le loro riflessioni sull’arte teatrale e oratoria. Le Lezioni di declamazione e d’arte teatrale (1832) di Antonio Morrocchesi, che si ritirò dalle scene per dedicarsi all’insegnamento presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, configurano una recitazione enfatica e ridondante, mentre il Prontuario delle pose sceniche (1854) di Alamanno Morelli è strutturato come un dizionario, in cui a vari sentimenti e passioni corrispondono dei gesti e atteggiamenti. L’insegnamento tende così all’iconografia, a un repertorio mimico codificato delle passioni, e i trattati scritti dagli attori nella fase discendente della loro carriera artistica rappresentano anche una memoria virtuale della loro arte.
La santa danza di David e il ballo peccaminoso di Salomè: due figure esemplari dell’immaginario biblico medievale
Pubblicato in “Quaderni Medievali”, 50, dicembre 2000, pp. 45-73. Edizioni Dedalo.
Mentre la danza di David davanti all’arca di Dio è un esempio di ballo positivo, che rappresenta l’umiliazione di sé, l’esibizione di Salomè durante il banchetto di Erode per ottenere la testa del Battista acquisisce il senso negativo di una danza lasciva che induce l’uomo al peccato. Mentre il ballo di David è raramente rappresentato nell’iconografia medievale, proprio per non suggerire ambigue analogie con i giullari, Salomè è spesso raffigurata come un’intrattenitrice che compie difficili performance acrobatiche. Nonostante la rimozione del carattere sensuale della sua danza, Salomè evoca l’idea della lussuria e rappresenta il potere fatale della seduzione.
Il primo regista della storia del teatro: André Antoine
Pubblicato in “Storia e Dossier”, novembre 2000, pp. 57-61. Mensile del Gruppo Editoriale Giunti.
Nel marzo 1887 André Antoine, impiegato parigino alla compagnia del gas e attore dilettante, si lanciò in un’impresa destinata ad avere successo: fondò un nuovo teatro, il Théâtre Libre, che accolse le suggestioni del Naturalismo. Il nuovo teatro ottenne l’approvazione e la protezione di Emile Zola, che fu presente fin dalla prima rappresentazione. Mediante la poetica della tranche de vie e la teoria della quarta parete teorizzata da Jean Jullien, il nuovo teatro si contrapponeva all’artificiosità e alle convenzioni dei teatri ufficiali. Antoine seguiva l’allestimento e la preparazione degli attori, cercando di ricreare anche mediante la recitazione un’impressione di verità.
La morale dello specchio
Pubblicato in “Etruria Oggi”, XVIII, giugno 2000, pp. 39-45.
Simbolo ricorrente e polisemico, nell’iconografia medievale lo specchio allude al peccato e alla vanità, mentre a partire dal Rinascimento è un frequente attributo di Venere e della Prudenza. Inquietante monito sulla caducità della bellezza e dei beni terreni, nell’immaginario del Seicento lo specchio è anche emblema dell’artificioso gioco di apparenze della realtà. Nell’Ottocento allude spesso all’idea del doppio, come nel racconto di E.A. Poe William Wilson e nel Ritratto di Dorian Gray di O. Wilde, mentre nella letteratura del Novecento rinvia alla frantumazione dell’io (L. Pirandello) e all’infinita moltiplicazione virtuale (J.L. Borges). Il gesto di guardarsi allo specchio è una conferma della propria identità ma anche un momento di verifica di ansie e paure, una piccola magia quotidiana fra il disincanto del saggio e la tentazione di Narciso.
Un teatro nel castello. L’Accademia dei Rinascenti di Poppi
Pubblicato in “Annali del Dipartimento di Storia delle Arti e dello Spettacolo”, I, 2000, pp. 93-111. Edizioni Cadmo.
In una sala del castello medievale di Poppi, antica residenza dei Conti Guidi, nel 1647 fu costruito dall’Accademia degli Incerti un teatro, gestito e utilizzato dai nobili del luogo. Nel 1704 fu fondata un’altra accademia, chiamata dei Rinascenti, che fra alterne fortune sopravvisse fino al 1881. Notizie relative alla gestione del teatro si trovano in un manoscritto del Settecento, le Memorie della nobile accademia de’ Rinascenti: dalla costruzione dei palchi per gli spettatori alle norme relative alla messa in scena e agli attori (dilettanti). Dopo una fase di decadenza, nel 1779 il teatro fu ristrutturato dall’architetto Ferdinando Morozzi e successivamente affittato anche a compagnie di attori professionisti.
Per amore di una vergine
Pubblicato in “Medioevo”, n. 4 (39), aprile 2000, pp. 55-61. De Agostini – Rizzoli Periodici.
Come altri animali fantastici dei bestiari medievali, l’unicorno era ritenuto un animale che esisteva in qualche parte del mondo. In base alla leggenda, può essere catturato soltanto allorché si addormenta nel grembo di una vergine e secondo l’interpretazione allegorica cristiana rappresenterebbe Cristo che che si incarnò nella Vergine Maria. Nel XIII secolo Richart de Fournival reinterpreta il mito in senso cortese, facendone una metafora del vassallaggio amoroso del cavaliere, attratto dal profumo soave della fanciulla. L’unicorno è associato ai cinque sensi nel ciclo di arazzi della Dame à la licorne del Musée de Cluny, che sviluppa il tema del trionfo dell’amore spirituale.
Scritture di viaggio tardomedievali
Pubblicato in “Quaderni Medievali”, 47, giugno 1999, pp. 177-183. Edizioni Dedalo.
Il viaggio è uno dei grandi temi che attraversano tutto il Medioevo. Le scritture di viaggio sono una categoria composita, che comprende vari tipi di fonti: i diari e i resoconti, le epistole e le guide per i pellegrini, i libri di meraviglie e le descrizioni di viaggi fantastici. Alle scritture di viaggio come documenti per la ricerca storica è stato dedicato il XII Seminario del Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, che si è svolto dal 7 al 12 settembre 1998 a San Miniato (Pisa): Fonti per la storia della civiltà italiana tardo medievale: scritture di viaggio. La rassegna enuclea alcuni temi e ricerche emerse durante lo svolgimento del Seminario, che riporta all’attenzione degli storici l’importanza dell’uso e della critica delle fonti.
Il disordine del lessico e la varietà delle cose: le denominazioni latine e romanze degli intrattenitori
Pubblicato in “Quaderni Medievali”, 47, giugno 1999, pp. 77-113. Edizioni Dedalo
La varietà di denominazioni latine e romanze utilizzate nel Medioevo per definire i giullari suggerisce l’esistenza di una pluralità di forme spettacolari. La figura dell’attore antico si è frantumata infatti in una serie di funzioni e specializzazioni. Mentre gli eruditi continuano a utilizzare alcuni lemmi che designano cose ormai scomparse, il termine che finirà per imporsi nelle lingue europee è ioculator, da cui discendono le varianti romanze (joglar, jongleor, iograr). La confusione dei nomi sta alla base della Supplica rivolta al re di Castiglia dal trovatore Giraut Riquer, che con una rivendicazione professionale e di categoria depreca il fatto che in Provenza tutti gli intrattenitori siano chiamati indiscriminatamente giullari e chiede al re di mettere ordine nei nomi, sperando che ne consegua un ordine nelle cose.
D’Annunzio e la Duse: il Vate e la sua Musa
Pubblicato, in “Storia e Dossier”, n. 135, febbraio 1999, pp. 24-27. Gruppo Editoriale Giunti.
La relazione amorosa con Gabriele D’Annunzio rappresentò per Eleonora Duse un momento determinante sia dal punto di vista sentimentale che professionale. La famosa attrice portò infatti sulla scena i personaggi drammatici creati dal Vate, alcuni dei quali concepiti propriamente per lei. Nel romanzo Il fuoco, D’Annunzio descrisse l’amante in modo impietoso nel personaggio della Foscarina, l’attrice “non più giovane” che ama Stelio con dedizione assoluta. L’impudica rivelazione dei particolari della loro relazione causerà un forte dolore alla Duse, che dal rapporto con D’Annunzio uscirà fortemente provata e rovinata economicamente.