Sandra Pietrini

Università degli Studi di Trento

Le prime teorie della recitazione in Spagna e il trattato di Zeglirscosac

Introduzione a F.E. Zeglirscosac, Ensayo sobre el origen y naturaleza de las pasiones, del gesto y de la acción teatral, a cura di Sandra Pietrini, traduzione di Pietro Taravacci, Trento, Università degli Studi di Trento, 2010, pp. XI-LVII.

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A partire dalla fine del Settecento, cominciò ad emergere in Spagna un particolare interesse per l’arte della recitazione, che nel secolo successivo darà luogo a una cospicua fioritura di trattati di mimica. Le prime riflessioni sull’arte dell’attore attingono a diverse tradizioni, dalla fisiognomica ai trattati sulle passioni, ispirandosi in parte alle codificazioni espressive dei vari sentimenti proposte da Charles Le Brun nella seconda metà del Seicento. Il primo trattato sistematico sull’espressione delle passioni applicata al teatro è l’Ensayo sobre el origen y naturaleza de las pasiones, del gesto y de la acción teatral di Fermín Eduardo Zeglirscosac, del 1800, che viene qui riprodotto in ristampa anastatica, accompagnato dalla traduzione di Pietro Taravacci e dall’introduzione di Sandra Pietrini. Continua

Per una mimica degli affetti: Alamanno Morelli e i trattati di recitazione dell’Ottocento.

Introduzione a A. Morelli, Note sull’arte drammatica rappresentativa, Manuale dell’artista drammatico, Prontuario delle pose sceniche, a cura di S. Pietrini, con un contributo di S. Stefanelli, ristampa anastatica, Collana “Reperti”, Trento, Università degli Studi di Trento , 2007, pp. XI-LX.

Morelli - Prontuario pose

I trattati di mimica di Alamanno Morelli (1812-1893), acclamato attore del teatro di prosa, si inseriscono all’interno di un filone teorico di riflessioni sull’arte della recitazione che raggiunse il culmine nella seconda metà dell’Ottocento. Dai semplici manuali come il Prontuario delle pose sceniche (1854) ai più ponderosi trattati sull’espressività, la saggistica sul teatro ebbe una grande diffusione, correlata all’istituzione delle prime scuole di recitazione e al trionfo del ‘grande attore’, su cui si accentra l’attenzione del pubblico e della critica. Scritti da semplici letterati o da famosi attori dell’epoca ritiratisi dalle scene, i trattati di mimica cercano di dare dignità e professionalità a un mestiere ancora legato alla tradizione dei guitti e alla trasmissione diretta del sapere artistico. Continua

L’immagine del teatro nei manoscritti francesi della città di Dio

Pubblicato in “Dintorni”, 3, Incontri a Sant’Agostino: dalla tarda antichità al Medioevo, a cura di L.C. Rossi e A.M. Testaverde, 2007, pp. 11-38.

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Nella lunga tradizione dei manoscritti della Città di Dio di sant’Agostino, una svolta importante è costituita dalla traduzione e commento dell’opera in francese da parte di un vecchio erudito francese, Raoul de Presles, a cui intorno al 1370 Carlo V commissionò l’impresa per divulgare il pensiero dei grandi autori cristiani. Raoul de Presles affiancò alle descrizioni dei ludi scenici tramandate da altri eruditi, come Thomas Waleys e Nicola Trevet, analogie tratte dalla contemporaneità, per meglio illustrare un fenomeno ormai lontano e indefinito. Le sue descrizioni stimolarono la verve artistica degli illustratori dei manoscritti, che inventarono edifici bizzarri e dinamiche sceniche fantastiche, in cui il teatro è via via rappresentato come un’esecuzione musicale, una giostra, una danza di corte o una lettura pubblica.

Mendicante

Pubblicato in Dizionario Tematico di Letteratura, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano, Torino, Utet, 2007, pp. 1460-1463.

Come esperienza tragica dei personaggi letterari, la mendicità ricorre fin dai tempi antichi (basti pensare a Ulisse ed Edipo) e viene riproposta fino al Rinascimento (si ritrova per esempio nel Re Lear di Shakespeare, dove sia il protagonista che Gloucester, traditi dai figli, finiscono mendici ed emarginati). A partire dal Cinquecento, il filone letterario legato all’accattonaggio e alle figure picaresche si sviluppa in particolare in Spagna (esemplare è la Vita di Lazarillo de Tormes, 1554). Emarginati dalla società, i mendicanti si riducono spesso a vivere di espedienti e conducono una vita avventurosa, come il protagonista del romanzo Il pitocco (1626) di Francisco de Quevedo. In ambito inglese, sullo sfruttamento dell’accattonaggio è incentrato il dramma di John Gay L’opera del mendicante (1728), a cui due secoli dopo si ispirerà Brecht per comporre L’opera da tre soldi. Nella narrativa romantica, la mendicità e gli ambienti degradati dei vagabondi fanno parte della ricostruzione del color locale, come in Notre-Dame di Parigi (1831) di Victor Hugo. Più strettamente connessa al tema dell’ingiustizia sociale è l’esperienza di accattonaggio di Oliver Twist nel romanzo eponimo di Dickens. Nel Novecento la figura del mendicante tende infine a sovrapporsi a quella del clochard o dello homeless metropolitano, nonché del sans papier extracomunitario. Si ritrova fra l’altro anche in molti film, da La leggenda del santo bevitore di Ermanno Olmi, tratto dall’omonimo romanzo di di Josef Roth, a Quando sei nato non puoi più nasconderti di Marco Tullio Giordana.

Circo

Pubblicato in Dizionario Tematico di Letteratura, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano, Torino, Utet, 2006, pp. 434-437.

Dall’antichità ai giorni nostri il circo ha continuato ad affascinare il pubblico per la varietà dei suoi intrattenimenti. Nell’Ottocento, epoca d’oro del circo, i numeri si estesero fino a comprendere, oltre a spettacoli equestri e acrobatici, esibizioni di clown, animali ammaestrati e giochi di prestigio. A partire dall’Ottocento il circo compare anche nella narrativa . È talvolta un ambiente di duro lavoro, con personaggi crudeli che sfruttano senza scrupoli i bambini, ma può al contrario  racchiudere insospettati fiori di bontà e generosità, come in Hard Times (1854) di Dickens. Figura emblematica del circo è il clown, che fa la sua comparsa sulle scene inglesi intorno alla metà del XVI secolo, ma in epoche più recenti assumerà la tipica ambivalenza di un personaggio bifronte, che suscita il riso ma è profondamente malinconico. Dal lungo racconto clown Il sorriso ai piedi della scala di Henry Miller alle Opinioni di un clown di Heinrich Böll (1963), anche la letteratura del Novecento ha dedicato ampio spazio a questa figura. Due visioni grottesche del circo, fulminanti nella loro originalità, si trovano nei racconti di Kafka Primo dolore (1921) e Un digiunatore (1922). Nelle arti figurative, l’ambiente del circo ricorre in particolare nei dipinti degli impressionisti, come Degas, Renoir e Toulouse-Lautrec, ma anche in quelli di Picasso. Il tema si ritrova spesso anche nel cinema, a partire dal Circo (1928) di Charlie Chaplin, che ripropone il luogo comune del pagliaccio malinconico e struggente, involontariamente comico ed emarginato dalla società.