Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2023, pp. 220
Nei secoli in cui il teatro non esiste più come istituzione, anche la memoria dell’architettura teatrale antica sembra perdersi in una visione nebulosa. Dei teatri e anfiteatri esistenti, spesso ridotti in macerie oppure oggetto di rivisitazioni fantastiche come il Colosseo, si finisce per dimenticare persino l’originaria funzione, mentre il ricordo della scena e degli altri elementi costitutivi del teatro viene tramandato mediante frammentarie reminiscenze lessicali, riproponendo le nozioni dei glossari con un’accumulazione di dettagli spesso incongrui. A questi teatri fatti di parole si affianca un ricco e composito immaginario relativo ai ludi scenici romani, menzionati a più riprese ne La città di Dio di sant’Agostino e trasposti iconograficamente, nelle traduzioni francesi del trattato, mediante originali metafore figurative e stravaganti ricostruzioni della scena antica. Dalla tradizione iconografica terenziana alla riscoperta del trattato di Vitruvio, una visione più archeologicamente corretta degli edifici adibiti agli spettacoli si farà strada a fatica, in parallelo alle persistenti, talvolta pregiudiziali, rielaborazioni fantastiche della scena e della struttura del teatro. Ed è proprio in questo territorio di confine che troviamo le più bizzarre e significative ibridazioni figurative, in bilico fra reminiscenze erudite e influenza delle nuove sperimentazioni sceniche di fine Quattrocento.