Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2021, pp. 388
La fortuna dei romanzi che narrano la vita di un’attrice è emblematica di un’epoca, di un’atmosfera culturale in cui l’immaginario teatrale dilaga nella letteratura di largo consumo. La narrativa francese dell’Ottocento si basa sull’idea della donna di teatro come una creatura ambivalente, reietta e sovrana, detentrice di un potere fondato sulla seduzione erotica. Il fascino fatale dell’attrice-cortigiana, che domina le scene mondane e regna nei camerini-boudoirs, trova un modello esemplare in Nana di Zola, per poi assumere connotazioni morbose e persino grottesche nella narrativa decadente, in particolare nelle parodie di Sarah Bernhardt. Al voyeurismo tipico dei romanzi francesi si contrappone il puritanesimo idealizzante della letteratura popolare britannica, che cerca di legittimare la professione di attrice associandola all’etica del lavoro e aprendosi a una cauta rivendicazione dell’indipendenza femminile. Due diversi paradigmi, con alcuni elementi comuni ma un’idea di fondo sostanzialmente diversa, che questo libro esplora e mette a confronto, analizzandone le tematiche e mostrando come in entrambi i contesti le riflessioni sull’arte della recitazione si affranchino a fatica dai pregiudizi associati al mestiere.