Pubblicato in Dizionario Tematico di Letteratura, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano, Torino, Utet, 2007, pp. 1460-1463.
Come esperienza tragica dei personaggi letterari, la mendicità ricorre fin dai tempi antichi (basti pensare a Ulisse ed Edipo) e viene riproposta fino al Rinascimento (si ritrova per esempio nel Re Lear di Shakespeare, dove sia il protagonista che Gloucester, traditi dai figli, finiscono mendici ed emarginati). A partire dal Cinquecento, il filone letterario legato all’accattonaggio e alle figure picaresche si sviluppa in particolare in Spagna (esemplare è la Vita di Lazarillo de Tormes, 1554). Emarginati dalla società, i mendicanti si riducono spesso a vivere di espedienti e conducono una vita avventurosa, come il protagonista del romanzo Il pitocco (1626) di Francisco de Quevedo. In ambito inglese, sullo sfruttamento dell’accattonaggio è incentrato il dramma di John Gay L’opera del mendicante (1728), a cui due secoli dopo si ispirerà Brecht per comporre L’opera da tre soldi. Nella narrativa romantica, la mendicità e gli ambienti degradati dei vagabondi fanno parte della ricostruzione del color locale, come in Notre-Dame di Parigi (1831) di Victor Hugo. Più strettamente connessa al tema dell’ingiustizia sociale è l’esperienza di accattonaggio di Oliver Twist nel romanzo eponimo di Dickens. Nel Novecento la figura del mendicante tende infine a sovrapporsi a quella del clochard o dello homeless metropolitano, nonché del sans papier extracomunitario. Si ritrova fra l’altro anche in molti film, da La leggenda del santo bevitore di Ermanno Olmi, tratto dall’omonimo romanzo di di Josef Roth, a Quando sei nato non puoi più nasconderti di Marco Tullio Giordana.